di Maria Cinque
Il termine (letteralmente ‘tempesta di cervelli’) indica uno dei principali metodi di problem solving. Ideato negli anni Cinquanta da Alex Osborn (1953), trovò un’applicazione ideale soprattutto nel mondo della pubblicità, anche se poi fu utilizzato e diffuso in molti altri ambienti: dal mondo delle aziende alla scuola. Il metodo, nella sua forma base, consiste in una discussione di gruppo guidata da un animatore, il cui scopo è trovare e far emergere il più alto numero di idee possibile su un argomento precedentemente definito; solo al termine di questo compito si potrà poi selezionare, criticare e valutare nell’alto numero di idee prodotte. Utilizzato per la generazione di idee creative, negli ultimi anni il brainstorming è diventato un potente strumento di ricerca per valutatori, ricercatori sociali e tutti coloro che intendono utilizzare la forza di un gruppo per trovare idee e soluzioni, esplorare concetti, rilevare informazioni altrimenti difficilmente osservabili, analogamente – e, talvolta, con risultati più efficaci – del focus group.
Le regole del brainstorming
Nel processo di problem solving, il brainstorming fa riferimento all’insieme di processi di comunicazione, opportunamente stimolati e indirizzati per far scaturire il massimo numero di idee utilizzabili nel minor tempo possibile. Per ottenere questo, nella prima fase della sessione si devono rispettare alcune regole base (Seelig, 2012):
- non criticare e non autocriticarsi;
- elogiare e sfruttare tutto ciò che emerge di insolito;
- prediligere la quantità piuttosto che la qualità delle idee;
- costruire sulle idee degli altri.
L’importante è pensare che non ci siano idee sbagliate e che, in questa fase, non serve valutare se l’idea sia realizzabile o meno. Talvolta, idee inusuali e apparentemente impraticabili possono condurre a innovazioni importanti. Un modo per permettere ai partecipanti di superare le idee scontate o i propri ‘pre-concetti’ è quello di chiedere di produrre idee stupide o le “peggiori idee” che permettano di risolvere un problema. Solo così ci si può liberare dalle assunzioni e pensare veramente out of the box.
La sessione non deve essere troppo breve, in modo da permettere di andare oltre le prime idee, ma neanche troppo lunga: è impossibile mantenere per più di un’ora l’energia produttiva necessaria per una sessione di brainstorming. Talvolta può essere utile spezzare una sessione lunga in tanti segmenti, in cui si utilizzano stimoli e tecniche diverse. Analogamente, se il gruppo è troppo grande, è opportuno formare piccoli gruppi (massimo 6-8 persone) che confrontano poi i risultati prodotti in plenaria.
Anche l’ambiente ha una sua importanza: il luogo in cui si svolge il brainstorming deve essere appositamente preparato, in modo da consentire, se possibile, alle persone di muoversi e camminare. Secondo uno studio recente di due docenti di Stanford (Oppezzo & Schwartz, 2014), passeggiare aiuta il pensiero divergente e la produzione di idee creative. Queste possono essere postate lungo le pareti, predisponendo appositi spazi, lavagne, flipcharts, poster ecc.
Nella seconda fase, spesso realizzata in una sessione successiva, si valutano le idee prodotte in maniera critica, selezionando quelle che realmente potranno essere adottate.
Può risultare utile formare gruppi composti sia di soggetti esperti dell’argomento, sia soggetti estranei al problema in questione. Le persone invitate a una sessione di brainstorming dovrebbero avere diversi punti di vista ed expertise sull’argomento. Inoltre, sarebbe bene invitare persone diverse nella fase di produzione delle idee rispetto a quelle che poi le valuteranno e prenderanno la decisione finale.
La conduzione
Il conduttore ricopre un ruolo chiave nelle sessioni di brainstorming: egli infatti deve conoscere bene gli estremi e i limiti del problema da sottoporre – pur non essendo necessariamente un esperto, e deve istruire i membri del gruppo alle regole inerenti il metodo ed, eventualmente, le diverse tecniche che saranno utilizzate nei vari segmenti della sessione. Inoltre chi conduce un gruppo di brainstorming ha il compito di stimolare l’interesse dei partecipanti e porsi con atteggiamento di ascolto, di apertura fiduciosa raccomandando di non porsi limiti e di esprimere e/o scrivere tutte le idee che pervengono, anche se confuse.
La formulazione delle richieste da sottoporre al gruppo dovrebbe essere preparata accuratamente. Le domande, infatti, dovrebbero presentarsi in forma aperta, per permettere ai partecipanti del gruppo di non fissarsi su vecchie idee. Alla chiusura della seduta è ancora compito dell’animatore riassumere le idee espresse dal gruppo e chiedere ai partecipanti di comunicare tutte le idee che possano presentarsi nelle ventiquattr’ore successive, poiché queste idee sono talvolta le migliori.
Osborn sottolinea come il brainstorming serva da ausilio all’attività intellettuale e creativa del singolo, al quale non può sostituirsi, ma rispetto cui permette di far scaturire un maggior numero di idee.
Alcune critiche
Eduard De Bono, uno studioso di tecniche di creatività, ha criticato il brainstorming, lamentando che, pur nella validità di alcuni suoi principi di base, lo strumento possa, in alcuni casi, bloccare la creatività: “Sfortunatamente, il termine brainstorming è diventato sinonimo di impegno creativo intenzionale, bloccando così lo sviluppo di serie capacità di pensiero creativo […]. Che da un fermento di osservazioni possa emergere un’idea utile nel mondo della pubblicità (dove ha avuto origine il brainstorming) è una nozione valida, ma è molto meno valida laddove la novità non è, di per se stessa, un valore sufficiente (De Bono 1996, p. XXXIX)”. Lo studioso e saggista Jonah Lehrer afferma che «il brainstorming in realtà non funziona». Nel volume Imagine: How creativity works (2012) ha affrontato criticamente la presunta efficacia di questo sistema, passando anche in rassegna studi e idee del passato che ne confutano i meriti. Secondo Lehrer, il classico problema di questo metodo è che alla base il processo rifiuta la critica delle idee cattive e si affida troppo a un meccanismo cookie-cutter, cioè fatto con lo stampo.
Perché non sempre funziona?
L’esperienza pratica dimostra che, se non ben strutturato, il Brainstorming può ‘degenerare’ soprattutto se ci sono conflittualità tra i partecipanti o se pochi di essi monopolizzano la discussione. Secondo alcuni studi, in un tipico gruppo di sei persone, due di esse, spesso, riescono ad accaparrarsi oltre il 60% del dibattito, inibendo in pratica la possibile partecipazione di altri membri del gruppo. Si tratta di un effetto che, a mano a mano che il gruppo diventa più grande, si amplifica.
La scrittrice Susan Cain, affronta il problema nel suo libro Quiet: The Power of Introverts in a World That Can’t Stop Talking (2012). Secondo l’autrice, lo stare in gruppo non incoraggia la creatività a causa della pressione sociale: alcune persone tendono a ‘sedersi’, si uniformano ai pensieri degli altri e soccombono alle opinioni dei pari.
Il già citato Lehrer ritiene che sia l’attrito umano a causare la scintilla della creatività: sebbene le discussioni siano occasionalmente spiacevoli, non possono essere evitate e, anzi, le critiche possono essere anche costruttive costringendo le persone a impegnarsi a un livello più profondo. Lehrer passa in rassegna anche numerosi studi degli ultimi dieci anni per supportare le sue tesi. Si va dalle ricerche di Keith Sawyer, psicologo dell’Università di Washington, che ha dimostrato come il brainstorming produce un minor numero di idee rispetto a quello di persone che lavorano da sole e poi le mettono in condivisione, a quelle di Charlan Nemeth, accademica di Berkeley. Nel 2003 Nemeth, docente di psicologia, separò due gruppi di studenti ordinando di risolvere il medesimo problema in maniera diversa. Il gruppo del brainstorming era più produttivo di quello a cui non erano state date istruzioni. Tuttavia, il secondo team, partendo dalla critica e dalla discussione delle idee, era più creativo. Interessante anche la visione del sociologo di Northwestern Brian Uzzi che ha analizzato gli effetti della interazione sul lavoro tra gli staff dei musical di Broadway e si è reso conto che i migliori spettacoli, come West Side Story, sono stati prodotti dalle reti che avevano un livello intermedio di intimità: né troppo bassa né troppo alta. Il brainstorming ha comunque il grande merito di essere il capostipite di una nuova serie di tecniche di creatività, come per esempio il brainwriting e il brainswarming, che permettono sia alla creatività individuale che a quella di gruppo di esprimersi.
La tecnica del brainwriting
La tecnica del brainwriting, fu ideata e applicata negli anni Ottanta da VanGundy (1988). Si fanno sedere 4-8 persone attorno a un tavolo o creando un cerchio con delle sedie. Si discute il problema e si cerca di farlo comprendere pienamente a tutti partecipanti; ogni partecipante scrive su un pezzo di carta una prima ipotesi abbozzata di come potrebbe essere risolto il problema. Quando l’animatore decide, ogni partecipante passa il foglio al suo collega di destra; ogni partecipante prende spunto dalla proposta fatta dal suo collega e riportata sul foglio per proporre un’altra soluzione; al termine di un certo periodo di tempo scelto dall’animatore, si raccolgono i fogli con le proposte; si classificano le idee emerse e si valutano in gruppo. Una variante è rappresentata dal brainwriting 6-3-5, in cui si coinvolgono 6 persone alle quali viene chiesto di esporre tre idee in cinque minuti di tempo. In totale, in trenta minuti, vengono prodotte 108 idee.
La tecnica del brainswarming
La tecnica del brainswarming, creata da Tony McCaffrey, CTO dell’Innovation Accelaration Inc., e presentata in un video sul sito della celebre Harvard Business Review (2014), parte dal sovvertimento di uno dei punti cardine del brainstorming: la discussione orale. ‘Perché innanzitutto abbiamo bisogno di parlare?’ si chiede McCaffrey. La tecnica del brainswarming è stata elaborata dall’osservazione delle formiche: quando sono alla ricerca di cibo, lasciano tracce di feromoni per altre formiche, un modo efficace per portare la colonia di risorse senza perdere tempo o creare confusione. Se creiamo un grafico del problema da risolvere, le persone possono lasciare i loro ‘segnali’, le loro idee, così che altri possano costruire su di esse. Per iniziare il brainswarming occorre scrivere l’obiettivo da realizzare o il problema da risolvere su un grande foglio di carta, chiedere al gruppo di sedere in silenzio e scrivere diversi modi per affrontare la situazione con le risorse a disposizione. Si crea quindi un grafico in cui l’obiettivo viene suddiviso in sotto-obiettivi. Le risorse disponibili sono indicate nella parte inferiore del foglio e si cercano tutte le possibili connessioni con i sotto-obiettivi. Questa tecnica permette di produrre oltre 100 idee in 15 minuti. In generale, passare dalla discussione ‘libera’ alla scrittura ‘strutturata’ non solo consente la partecipazione di ognuno, senza sopraffazioni, ma anche di ottenere risultati più efficaci.
Bibliografia
Cain, S. (2012) Quiet: The Power of Introverts in a World That Can’t Stop Talking, Crown Publishing Group
De Bono, E. (1996) Essere creativi. I concetti, gli strumenti e le applicazioni del pensiero creative, Il Sole-24 Ore
Lehrer, J. (2012) Imagine: How creativity works, Houghton Mifflin
Osborn, A.F. (1953) Applied imagination, Scribner’s
Oppezzo, M., & Schwartz, D. L. (2104) Give your ideas some legs: The positive effect of walking on creative thinking, Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, & Cognition
Seelig, T. (2012) InGenius: A Crash Course on Creativity, HarperOne
VanGundy, A.B. (1988) Techniques of Structured Problem Solving, VanNostrand Reinhold