Alessandro Lucchini: per un public speaking Jump style

Un business case, un legal case, un tema di global mindset, un tema di etica o di antropologia, o una riflessione sulle soft skills, così presenti in tutte le professioni contemporanee. Che cos’hanno in comune? Beh, sono proprio gli argomenti sui quali i relatori dei moduli Jump sono chiamati a ispirare i ragazzi nelle nostre residenze. Per questo Fondazione Rui ha voluto dedicare ai relatori, esperti delle diverse aree, un momento di allenamento sulla comunicazione in pubblico, per rendere più efficaci, più interattivi e coinvolgenti i moduli di JUMP, anche nella modalità online.

Obiettivi: consolidare uno stile incisivo ed efficace, creare sintonia con la platea, negoziare nei momenti più accesi, trattare in modo costruttivo domande e obiezioni, gestire gli imprevisti, scegliere i materiali di supporto e i modelli linguistici che danno vivacità alle presentazioni.

Ne parliamo qui con Alessandro Lucchini, insegnante allo IULM e alla Scuola Sant’Anna di Pisa, linguista, ricercatore e allenatore di tecniche di comunicazione, che ha condotto il corso.

Parlare in pubblico: quanto conta la predisposizione naturale, e quanto l’esercizio e lo studio per migliorare le proprie tecniche?

La predisposizione naturale è un dono di madre natura. Noi allenatori possiamo farci poco. Tanto, invece, possiamo fare sullo studio, sull’esercizio per rendere più efficace la comunicazione in pubblico. Vale per tutte le espressioni umane, dalla musica allo sport, dalla pittura alla cucina: chiamalo talento, chiamalo genio, non è cosa per noi. La responsabilità di chi fa mestieri come il mio sta nello sviluppare quel talento, quella predisposizione. Le tecniche, il metodo, l’analisi delle pratiche più fruttuose e degli errori più frequenti: ecco i nostri strumenti. Applicati alle dotazioni naturali, le arricchiscono, offrono delle alternative. Di certo non sostituiscono la natura, ma possono ampliarla.

In quest’ultimo anno il public speaking è cambiato, da “comunicazione teatrale” a “comunicazione televisiva”. Quali sono le principali differenze? Quali indicazioni ha suggerito ai relatori JUMP?

Magari il public speaking fosse diventato comunicazione televisiva!
In effetti in parte sì, lo è diventato, ma spesso si è limitato a essere webinar, nel senso deteriore del termine. O comunicazione radiofonica, con sommo rispetto per la radio. Cioè quello parla, gira le slide, io sto lì, e intanto rispondo alle mail o giro il sugo, così ottimizzo. Se non abbiamo il pubblico di fronte a noi, come in teatro, ma lo abbiamo solo al di là dello schermo, dobbiamo trasformarci in comunicatori televisivi, quindi fare di tutto per “rompere la quarta parete”, o “bucare lo schermo”, ma dobbiamo essere anche registi di noi stessi. Prenderci cura di tutto ciò che arriva al pubblico: modulare la voce, i movimenti del corpo, i gesti, che tutto stia dentro il campo della telecamera. Molte volte, vedo slide lasciate lì, immobili, dentro il campo visivo per sei o sette minuti, con il relatore ridotto un francobollo al piede dello schermo, o anche con telecamera spenta, che recita la sua litania. Lasciando lì fissa una slide così tanto tempo, è inevitabile che il pubblico si deconcentri.

Come può un relatore che si rivolge a giovani studenti universitari coinvolgerli e interessarli ai contenuti dei propri interventi?

È già un buon risultato se l’obiettivo è proprio quello descritto nella domanda: coinvolgere e interessare gli studenti ai contenuti. ‘Content is king‘, diceva Bill Gates qualche anno fa. A mio parere, ‘audience is king. Il contenuto è solo un mezzo per collegare public e speaker. È solo uno strumento che allaccia una relazione. Non potremo mai essere esaustivi, ma se saremo interessanti, coinvolgenti, se genereremo delle domande nel pubblico, anche di studenti universitari, non solo di adulti, avremo fatto il nostro mestiere con dignità, onestà e anche con una certa abilità. I have a dream, quando parlo con un pubblico: generare più domande di quelle cui riesco a rispondere.

Come hanno risposto i relatori JUMP all’attività proposta?

Mi sono trovato di fronte un pubblico non facile: docenti universitari, manager, avvocati, magistrati, professionisti che di solito sono speaker, stanno “in cattedra”. Averli come public, al di là, m’immaginavo la loro domanda di fondo: «chissà questo che cosa viene a raccontarci di nuovo…». Comunque poi ho sentito affetto, empatia, buona disponibilità all’ascolto, fin dai primi momenti. Facevano domande precise, impegnative, che mi guidavano nell’esposizione. Sia nel momenti in plenaria sia nei sottogruppi dedicati al question and answer, ho sentito grande apertura e voglia di condividere, anche dubbi, incertezze, pensieri diversi dalle proprie solidità. Credo sia una dimensione molto positiva per qualunque professionista, quando insegna: avere curiosità e voglia di ascoltare chi la pensa in modo diverso. Come diceva Guccini, “siamo eterni studenti”: proprio come le ragazze e i ragazzi dei moduli JUMP, anche i relatori si sono messi in ascolto, e mi hanno accolto nei loro studi e nelle loro scoperte. Li ringrazio per questo.