Ritrovare la libertà, ma quale?

Cosa sarà stata questa emergenza pandemica di cui non riusciamo a vedere con sicurezza la fine? Come saranno viste domani le scelte di oggi? Spunti per riflettere su come vivere la rinnovata libertà, riscoprendo la dimensione collettiva dell’esistenza.

Le riaperture arrivate puntuali anche quest’anno fanno sicuramente piacere, ma le parole con cui molti giornalisti e politici le hanno rappresentate, “ritorno alla normalità”, “libertà ritrovata”, “diritto allo svago” ecc., mi hanno demoralizzato. Nel febbraio del 2020 siamo stati travolti da un evento che ci appare tanto più incredibile quanto più andiamo a rivedere quei film o quelle serie che ora ci sembrano averlo anticipato. Nella successiva primavera, la novità della pandemia e delle misure di confinamento hanno poi lasciato spazio all’ulteriore novità di poter all’improvviso tornare alle solite attività estive. Più di qualcuno aveva messo in guardia dal confondere gli effetti del caldo sul virus con un effettivo superamento del pericolo, ma il desiderio di lasciarsi alle spalle quella pandemia era così forte che in molti abbiamo preferito farci bastare le narrazioni più semplificate. D’altronde, io ad esempio sentivo il bisogno di oppormi a chi raccontava che, tutto sommato, il lockdown era stato anche occasione per riscoprire il piacere di cucinare o di leggere o di passare del tempo coi figli: il lockdown era la giusta risposta emergenziale all’epidemia, non un modello di vita da opporre a un’organizzazione del lavoro e dell’esistenza, che è effettivamente sfiancante e alienante. Insomma, quella contro il virus e quella contro la società della performance sono due battaglie distinte, che si possono semmai incontrare nella lotta alle condizioni più profonde che favoriscono tanto la zoonosi e la rapida diffusione dei virus, quanto il sacrificio di ogni altro bene al profitto. Contro la confusione di queste due battaglie, l’anno scorso sentivo il bisogno di difendere i piaceri e gli svaghi dell’incontrarsi all’aria aperta.

Le strade vuote durante il lockdown

Poi però è arrivato l’autunno. E quando abbiamo rivisto salire il numero dei contagi, tornare in sofferenza i reparti degli ospedali, richiudere le scuole, mandare molti a lavorare sostanzialmente nelle condizioni di prima della pandemia, permettere sì ad altri e ad altre di lavorare da casa, ma ancora più del solito e magari con i bambini in giro o comunque senza uno spazio adeguatamente attrezzato, infine obbligare altri ancora a tenere chiusi i loro esercizi commerciali, vivendo sostanzialmente dei loro risparmi, ecco che allora nessuno ha più potuto approfittare del lockdown per rifare la torta della nonna. Al massimo, vi abbiamo riconosciuto la misura di contenimento dei contagi resa necessaria da una gestione a dir poco insipiente della crisi pandemica. Ecco perché adesso sento in me, oltre la contentezza per la presenza del vaccino, anche una certa inquietudine di fronte al repentino ritorno dei discorsi sulla spensieratezza. Non siamo più nell’anno delle novità, siamo di fronte alla necessità di interrompere la sequenza delle ripetizioni.

E la ripetizione che a me pesa di più è quella che ritrovo nei discorsi di tutta quella politica che ci racconta l’aspirazione alla libertà come se non fosse altro che un’aspirazione agli svaghi cui bisogna rispondere permettendo che le piazze diventino dei dehors.  Una delle cose che il virus ha svelato è quanto dipendiamo gli uni dagli altri e dal tessuto di istituzioni che sono la società: quanto la salute dipenda, non già dal non incontrarsi per non contagiarsi, bensì dal disporre di un sistema sanitario funzionante e non indebolito da tagli e gestioni economiciste, quanto la nostra felicità non dipenda solo dai nostri piaceri individuali, ma anche dal vivere in una società che sappia essere giusta e attenta sia nei confronti degli anziani, sia dei giovani, quanto gli spazi della libertà risultino vuoti se non incontrano iniziative che quella libertà coltivino. Questo non è un discorso contro il desiderio di ritrovare gli amici di fronte a un aperitivo, ma un discorso sulla politica, che deve preoccuparsi di tutto ciò che va positivamente fatto ora, affinché il prossimo autunno non sia l’assurda e sfiancante ripetizione della sorpresa dello scorso.