di Filippo Quartu
La lingua di Dante non è una lingua morta, è un parlare vivo che può riempire le nostre vite frenetiche e un po’ trafelate del senso autentico e pieno, della saggezza meditata e cristiana di quell’uomo miracoloso, che nel mezzo del cammino della sua vita si ritrovò nella “selva oscura”. La Commedia non è solo un’opera eterna, di quelle che non moriranno mai, di cui tutti ricordano almeno il primo verso, divenuto ormai un adagio noto. La Divina Commedia ci parla dell’Uomo, richiama ognuno di noi a un’umanità essenziale e piena di sostanza, di cui oggi spesso siamo tragicamente orfani. Le terzine dantesche parlano d’amore, di speranza e di fede, di paure, del peccato, di luce e di tenebre. Virgilio, Bernardo e Beatrice, le centinaia di personaggi che emergono continuamente dalle pieghe dagli endecassillabi danteschi e si affollano tra i gironi infernali, le cornici del Purgatorio e i cieli del Paradiso ci raccontano di noi. Continuano a provocare le pieghe più intime del nostro io. Ci interpellano e ci smuovono, ci consolano e ci seducono.
La Commedia è una questione d’amore
Franco Nembrini, grande lettore di Dante, scrittore di successo e docente dei licei, nel salone di MilanoAccademia lo scorso 7 febbraio, ha svelato senza la patina retorica del cattedratico e con un inconfondibile accento bergamasco, il perché abbiamo tanto bisogno di Dante. Non è stata una lezione, ma il racconto appassionato di una vita passata alla ricerca della felicità, in cui a un certo punto ha fatto capolino Dante con la sua Commedia. Ha parlato soprattutto d’Amore, Franco Nembrini, di quel misterioso legame tra uomo e donna, che di fatto è stata la destinazione della vicenda umana di Dante. «Tutto ciò che di grande ha detto e fatto ruota intorno all’amore tra uomo e donna». La Commedia è una questione d’amore, prima di tutto l’Amore per Dio certo, che per Dante è il motore di tutto. Questo Amore ha avuto per il Poeta un nome, Beatrice e questo nome è stata la sua grande meta. Beatrice è il centro dei centri, è la vocazione di una vita. E la nostra vita? Che c’entrano Dante e Beatrice con l’uomo indaffarato e iper-connesso, smartphone-munito e 2.0? «La nostra vita non è che un fatto d’amore; la grande arte, la grande letteratura, tutto quel che di grande l’uomo ha detto e fatto ruota intorno al misterioso legame che è iscritto nella natura in modo invincibile e inevitabile».
La riflessione di Nembrini su Dante, culminata in alcuni volumi di grade successo e nell’ultima bellissima edizione dell’Inferno, ha avuto un’origine autobiografica. Il suo incontro con quel fiorentino colto, spigoloso e combattivo, un incontro che gli ha cambiato la vita, è avvenuto come accade con le persone in carne e ossa. Si è innestato nella sua vicenda umana e l’ha completata, ha contribuito a dare una forma compiuta a una vita in continua e spasmodica ricerca di senso e di bene.
L’invidia generativa
Ai residenti di Castelbarco e MilanoAccademia, il professore bergamasco con gli occhi buoni e i modi spicci e diretti, ha parlato della sua vita, ha ripercorso le tappe salienti della sua esistenza fin dall’infanzia. Ha parlato dei suoi genitori e del loro amore vero e semplice, vissuto con la fedeltà dei contadini di una volta. «Morivo letteralmente di invidia nel vederli così uniti e innamorati». Un’invidia buona, uno di quei sentimenti che da una parte lasciano l’amaro in bocca e dall’altra ci spingono a desiderare cose belle e grandi. L’invito ai presenti è chiaro «Se voi vivete alla grande, gli altri non potranno che desiderare una vita così anche per sé. Questa dinamica genera il bene!». Ha ripercorso la sua giovinezza in un’Italia scossa dalla stagione del ’68; i ragazzi del tempo pensavano in grande, parlavano di realizzazione e felicità, di un mondo migliore. “Vogliamo tutto, vogliamo l’impossibile” era uno degli slogan. Il desiderio di cambiare prese il sopravvento e presto si mutò in una condanna per quel piccolo mondo antico, fatto di tradizioni, di gesti ripetuti e semplici e di fede. «Nel momento in cui avevo rinunciato a tutto ciò che era il lascito valoriale della mia famiglia mi sono sentito solo e nudo con le mie domande. L’uomo è uomo in quanto prende sul serio le domande che la vita gli fa». Dante sembrava rimasto sullo sfondo, quasi dimenticato tra ricordi vividi, scene familiari e battute, certe volte irresistibili, per poi ritornare improvvisamente. «Sono tre le questioni davvero necessarie a un uomo per vivere: la Verità, il Bene e la Bellezza. Questo Dante lo aveva capito perfettamente tanto da costruire la sua vita intorno a questi capisaldi. Sopire le domande su di sé, rinunciare al Bene, non cercare la Bellezza e la Verità, equivale di fatto a vivere a metà o a non vivere affatto».
Il Puzzle e la vocazione
L’incontro essenziale della vita è il momento in cui fai l’esperienza dell’amore. L’amore, quello vero, muove le azioni dell’uomo, motiva i grandi slanci di bene, le iniziative più grandiose. L’Amore, quello con la A maiuscola è il senso profondo e autentico del nostro stare sulla terra, è quel quid per cui vale la pena vivere e che ci dona il “senso” della vita. «Negli anni di crisi avevo vissuto la mia esistenza come se fosse un puzzle di cui ti consegnano solo il sacchetto con i tasselli, che visti così sembra non vogliano dire niente. Ne prendi uno, te lo giri tra le mani, poi lo butti via, ne prendi un altro sperando che succeda qualcosa, ma non succede mai niente. Quando incontri l’Amore, quello di cui parla Dante, quello di Dio per l’Uomo, dell’uomo per Dio, di Dante per Beatrice, tutto è diverso. Quando si vive con il senso c’è una differenza totale: sai che ognuno dei pezzetti del puzzle nella busta ha il suo posto in un disegno complessivo. Se c’è il disegno, la vita cambia completamente. Non significa che si capisce tutto ma, conoscendo il disegno complessivo, si ha la pazienza, pezzettino per pezzettino, di paragonare il puzzle col disegno e trovare a ogni tassello il suo posto. I pezzettini cui non trovi il posto, non si devono buttare via! Non si censura più niente. Non si deve dimenticare niente, neanche gli errori o gli sbagli. I pezzettini che non capisci li metti da parte e verrà il momento in cui capirai. C’è sempre quel pezzettino che non entra mai, ma non lo butti! La vita è quest’avventura».
Dante e Beatrice ci parlano
Dante per Nembrini è stata la conferma che questa intuizione, frutto della sua esperienza di vita, fosse vera. Dante aveva ben chiaro che cercare la Verità, praticare il Bene e amare tanto il mondo da combattere per migliorarlo, sono le condizioni fondamentali del vivere. «L’uomo è destinato, è chiamato a fare cose grandi, a essere felice. Dante ha capito questo quando incontra Beatrice, una ragazza vera, fisicamente esistita. Appena la vede ha un pensiero che è il pensiero che giustifica la Commedia. E cioè: per realizzarsi nella vita bisognerebbe che il Mistero che fa tutte le cose lo potessimo conoscere. Sarebbe bellissimo poter conoscere Dio». Le parole di Nembrini si fanno sempre più appassionate; è convinto che Dante abbia scritto la Commedia dopo una scoperta che gli ha cambiato la vita. Dante in Beatrice ha scoperto la Donna. «Egli vive il rapporto con Beatrice così intensamente da chiedersi se non sia proprio quel Mistero per cui siamo fatti e che tutti cercano, quel centro di gravità intorno al quale ci muoviamo, ad aver preso la forma di quella ragazza per farsi cercare, svelare e scoprire. È convinto che quella Donna sia salvezza di tutto, del mondo e di sé». Ecco cosa può insegnare Dante all’uomo e alla donna d’oggi: ad amare. Ognuno di noi può essere come Beatrice per Dante, un miracolo in carne ed ossa, capace di svelare a chi ci ama il Motore di tutto, quell’Amore che “move il cielo e le altre stelle”.