di Giuseppe Ghini
Russia e Occidente sembrano oggi nuovamente confrontarsi in modo aspro, in una disputa che non si limita all’ambito politico o militare, ma che coinvolge le rispettive mitologie, il patrimonio culturale, i valori.
Il caso Pussy riots del 2012 è forse quello che ha rivelato al mondo più chiaramente questa opposizione sui valori. La percezione delle istituzioni e dell’opinione pubblica russa è nella condanna ai sensi dell’art. 213 del Codice Penale che punisce gli atti di «teppismo […] che esprimono mancanza di rispetto verso la società per motivi di odio religioso, con l’aggravante dell’associazione»; nella sentenza del tribunale che ha valutato l’atto blasfemo di Nadežda Tolokonnikova e compagne non solo come irrispettoso dei sentimenti della maggioranza ortodossa russa, ma anche come una «reale minaccia alla concordia sociale»; nelle indagini realizzate da centri di ricerche come Levada e VCIOM che confermano la riprovazione sociale del gesto da parte dell’opinione pubblica russa. La percezione dell’ “Occidente” è nel riconoscimento delle Pussy riots come prigioniere di coscienza da parte di Amnesty international, nelle proteste del Governo statunitense, del ministro degli esteri francese, nella lettera aperta di numerosi parlamentari tedeschi, nella dichiarazione dell’OCSE secondo cui «le accuse di vandalismo a scopo religioso non possono essere utilizzate per limitare la libertà di espressione», nelle dichiarazioni di solidarietà di Peter Gabriel, Courtney Love, Madonna, Paul McCartney, Yoko Ono, Patti Smith, Sting, Elio e le storie tese, Vasco Rossi ecc..
Lo stesso Vladimir Putin, soprattutto in un importante discorso tenuto nel 2013 alla riunione annuale del think tank russo Club Valdaj, ha riassunto i termini di questo confronto. Vale la pena di riportare qui un ampio stralcio di questa relazione, passata per lo più sotto silenzio dai mass media occidentali. «Dopo il 1991 – ha affermato Putin in quell’occasione – si fece strada l’illusione che nascesse come da sola una nuova ideologia nazionale, l’ideologia dello sviluppo. Lo stato, il potere, la classe intellettuale e politica praticamente si chiamarono fuori da questo lavoro, tanto più che la precedente ideologia governativa aveva lasciato l’amaro in bocca. E tutti ebbero semplicemente paura anche solo di sfiorare questo argomento. Nel mentre che l’assenza di una idea nazionale fondata sull’identità nazionale era vantaggiosa per quella parte sostanzialmente colonialista dell’élite che preferiva rubare e portare all’estero i propri capitali e non legare il proprio futuro al paese in cui questi capitali erano stati prodotti.
La pratica ha dimostrato che una nuova idea nazionale non nasce e non si sviluppa seguendo le regole del mercato. Non ha funzionato né l’autocostruzione dello stato e della società, né l’imitazione meccanica dell’esperienza altrui. Questi prestiti rozzi, questi tentativi di civilizzare la Russia dall’esterno non sono stati accolti dalla stragrande maggioranza del nostro popolo, e questo perché la tensione verso l’autonomia, verso il primato dello spirituale, dell’ideale, dell’extrapolitico è un aspetto inalienabile del nostro carattere nazionale. […] È finito il tempo in cui modelli di vita già pronti si potevano instaurare in un altro stato senza alcun problema, come fossero programmi di computer». Terminata la lettura del recente passato, Putin passa alla comparazione politico-morale tra Russia e Occidente: «Un’altra grave sfida all’identità della Russia è legata ad eventi che avvengono a livello mondiale e che hanno aspetti e di politica estera e morali. Vediamo come molti paesi euro-atlantici sono giunti di fatto a ripudiare le loro radici, comprese le radici cristiane che costituiscono la base della civiltà occidentale. Vengono negati i principi morali e tutte le identità tradizionali: nazionali, culturali, religiose e perfino sessuali. Si sta applicando una politica che mette sullo stesso piano le famiglie numerose e le convivenze omosessuali, la fede in Dio con la credenza in Satana. La “political correctness” ha raggiunto tali eccessi, che si discute seriamente di registrare partiti politici che promuovono la pedofilia. In molti Paesi europei la gente si vergogna o ha paura di manifestare la propria appartenenza religiosa. Le festività sono chiamate con altri nomi o perfino abolite; la loro essenza religiosa viene nascosta vergognosamente, così come il loro fondamento morale. Sono convinto che questo apre una strada diretta verso il degrado e il ritorno a uno stato primitivo, ad una profonda crisi demografica e morale. E cos’altro testimonia più drammaticamente la crisi morale di una società umana della perdita della capacità di auto-riprodursi? E oggi praticamente tutte le nazioni sviluppate non sono più capaci di riprodursi, nemmeno con l’aiuto delle immigrazioni. Senza i valori incorporati nel Cristianesimo e nelle altre religioni storiche, senza le norme morali che hanno preso forma dai millenni, le persone perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Ebbene: noi riteniamo naturale e giusto difendere questi valori. Si devono rispettare i diritti di ogni minoranza di essere differente, ma i diritti della maggioranza non vanno posti in questione. Simultaneamente, vediamo sforzi di far rivivere in qualche modo un modello standardizzato di mondo unipolare e offuscare le istituzioni di diritto internazionale e di sovranità nazionale. Questo mondo unipolare e standardizzato non ha bisogno di Stati sovrani; ha bisogno di vassalli. Ciò equivale sul piano storico al rinnegamento della propria identità, della diversità del mondo voluta da Dio». Sono qui evidenti i termini della distanza assiologica tra Russia e Occidente, o, per meglio dire, tra l’ideologia che Putin condivide con una larga maggioranza del popolo russo e, dall’altro lato, i portavoce della modernità occidentale.
La contrapposizione valoriale
Di fronte a quella che è stata definita «guerra dei valori», l’interpretazione di gran parte dei media occidentali è una versione semplificata del popperiano shock da società aperta. Essi convalidano infatti presso l’opinione pubblica mondiale un’immagine della Russia come realtà politico-sociale arretrata e pre-moderna, dunque aggressiva. Per meglio dire, secondo questi mass media la Russia di oggi, uscita forzosamente negli anni Novanta dall’incantamento del mondo sovietico grazie alla spinta determinante dell’economia di mercato e delle sue istituzioni portabandiera – Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Dipartimento del Tesoro americano all’origine del cosiddetto Washington Consensus – non ha retto l’impatto di questo shock e, per iniziativa di Putin e del suo entourage, ha organizzato una resistenza a questo vento progressista e un vero e proprio, seppur anacronistico, reincantamento del mondo. La periodizzazione assiologica viene dunque spiegata nel modo seguente: alla Russia sovietica, impermeabile ai valori cardine della modernità, sarebbe seguita la Russia degli anni Novanta, regno della libertà individuale, del pluralismo sociale e dell’economia di mercato; l’avvento di Putin avrebbe comportato la fine delle neonate forme di democrazia, la chiusura delle voci d’opposizione, il varo di una democrazia sovrana all’interno e di una politica espansionistica all’estero, il recupero della grande narrazione sovietica e del reincantamento del mondo russo.
Aldilà delle raffinate interpretazioni degli economisti, questa posizione è riassunta magnificamente da una delle «voci» raccolte da Svetlana Aleksievič nel suo Tempo di seconda mano: «Ero sovietico al novanta per cento… Non capivo cosa stesse succedendo. Ricordo quel che diceva Gajdar alla televisione: imparate il commercio… ci salverà il mercato».
La complessità della realtà supera le dicotomie
Naturalmente, occorre anzitutto evitare quelle semplificazioni che dividono troppo nettamente tra un presunto Occidente e una presunta Russia. L’Occidente non è solo l’Obama pensiero, Charlie Hebdo, una libertà che sembra doversi espandere in modo illimitato, certe dichiarazioni libertarie della portavoce dell’OCSE. E la Russia, d’altro canto, non è solo Putin, se pur appoggiato da una grande maggioranza: il supporto alle Pussy riots non venne solo da artisti stranieri, ma anche da artisti russi. Ciò che è interessante, piuttosto, è che questi ultimi si siano espressi non tanto a favore di una libertà di espressione che include l’offesa delle credenze altrui, bensì a favore di un perdono da parte della Chiesa e delle autorità civili. Soprattutto, questo «Occidente» relativistico, individualistico, materialistico e borghese non è l’Europa, di cui ha invece rifiutato le tre grandi forze che ne hanno fatto lievitare l’esistenza spirituale: la cultura antica, il cristianesimo, l’intreccio di arte, letteratura, scienze e tecnica.
In secondo luogo occorre evitare l’acritica giustificazione di ogni tipo di «economia di mercato» dalla forma cinese a quella del capitalismo selvaggio. Ed in Russia negli anni Novanta si fece strada proprio un capitalismo di quest’ultimo tipo, senza regole, né limitazioni. Non è un caso che delle cinque caratteristiche che Kornai ritiene indispensabili ad una economia di mercato, il vincolo di bilancio rigoroso per le imprese non comparve nel sistema economico russo fino al 2000. Occorre invece tener conto della situazione effettiva della società russa ai tempi di El’cin, e non chiudere gli occhi sul potere degli oligarchi, sulla loro acquisizione di banche e mass media ai fini di guadagnare consenso sociale: gli oligarchi non sono stati i nobili alfieri del libero mercato, ma i beneficiari di un sistema politico corrotto e chiuso che cedette immense risorse naturali in cambio di appoggio politico.
Lo shock del cambiamento
Come ha spiegato Victor Zaslavsky nelle sue analisi, in cambio del consenso al controllo assoluto della vita politica e sociale da parte del PCUS, il cittadino russo della società sovietica matura si vedeva garantita una crescita lenta ma costante del tenore di vita, la totale sicurezza del posto di lavoro, prezzi stabili e contenuti per beni di prima necessità, alloggio – spesso in coabitazione – e trasporti, nonché l’accesso all’istruzione e alla sanità praticamente gratuito (anche se quest’ultima di qualità decisamente bassa).
Con la terapia d’urto di Gajdar, questo mondo andò in frantumi nel 1992. Non si verificò solo un’inflazione impressionante che portò in un anno a una crescita dei prezzi fino a 100 volte, ma andarono in rovina gli ordinamenti gerarchici, i rituali e le norme di una società estremamente liturgica com’era quella sovietica. Come testimoniano diffusamente le “voci” raccolte da Svetlana Aleksievič, l’uomo sovietico perse la «dimensione eroica della vita, [..] il senso di uno scopo superiore» e si trovò catapultato in un «miserabile benessere». «L’uomo russo ha bisogno di qualcosa in cui credere… Credere in ciò che è elevato, sublime. Impero e comunismo sono radicati nel profondo del nostro cervello. Ci è più familiare ciò che è eroico». «A me l’impero piaceva… Da quando non c’è più, la vita è diventata noiosa. Poco interessante». «Il sovietico era un uomo per bene, capace di andare di là dagli Urali, nel deserto, in nome dell’idea, e non per dollari. Quelle banconote verdi che non sono neanche nostre. La centrale idroelettrica sul Dnepr’, la battaglia di Stalingrado, i voli spaziali, lui è tutto questo. Il Grande Uomo Sovietico! Ancora oggi mi fa piacere scrivere “URSS”. Era il mio paese, mentre adesso vivo in un paese che non è più il mio. In un paese che mi è estraneo, io vivo». Numerosi sono le “voci” intervistate che rilevano quello che Taylor definisce come un «restringimento», una perdita di una visione più ampia a motivo del concentrarsi sulla propria vita individuale: «Oggi si sono tutti immeschiniti, imborghesiti, vogliono una vita comoda, facile. Consumare, consumare e nient’altro. Arraffare!».
Se è vero che il 1992 fu l’anno del disincantamento dal sistema sovietico, questo avvenne nel modo più traumatico. Il normale cittadino sovietico, totalmente alieno dalla legge della domanda e dell’offerta, si trovò catapultato in una società che ora ragionava sull’equazione costi-benefici, in un mondo in cui vige ciò che Taylor chiama «il primato della ragione strumentale». «La scoperta dei soldi è stata come l’esplosione di una bomba atomica», dice una delle “voci” intervistate dalla Aleksievič. E proprio come afferma Taylor i nuovi assetti sociali (ma anche i nuovi asset) si trovarono alla mercé «del primo che allungò la mano per impossessarsene», gli oligarchi, i «nuovi russi», gli unici che, operando nella “seconda economia” sovietica, quella dei favori e del mercato nero, erano a conoscenza delle leggi del mercato.
«Una frenesia selvaggia, difficilmente spiegabile si era impadronita di tutti quanti. L’odore dei soldi impregnava l’aria. E la libertà assoluta: non c’era più né partito né governo. Tutti volevano fare la “grana” e quelli che non sapevanо farla invidiavano quelli che già la stavano facendo». «A sparire per prima è stata l’amicizia che ci legava…Tutti si sono ritrovati pieni di impegni, occupatissimi a far soldi. Prima ci sembrava che di questi soldi…che i soldi non potessero in alcun modo condizionarci…E adesso hanno cominciato tutti a subire il fascino dei biglietti verdi». È evidente qui la contrapposizione tra il nuovo ordine di valori incarnato dai dollari – i biglietti verdi del “nemico” –, dal supermercato, dal salame, dagli «stramaledetti jeans», e il vecchio ordine sovietico rappresentato dal «mondo giusto e luminoso» del comunismo, dal «radioso avvenire», ma anche dai legami sociali, l’amicizia, la considerazione per l’uomo comune, il «dividere quel che si ha con gli altri, aver compassione dei deboli, sentire la loro sofferenza, e non pensare solo ad accumulare per se stessi».
Emerge qui chiaramente il carattere della Russia degli anni Novanta. Quello che esplose come una bomba nella Russia post-sovietica non fu l’individualismo sotteso all’economia di mercato, per dirla con Tocqueville, «l’individualismo [come] sentimento riflessivo e tranquillo, che dispone ogni cittadino a isolarsi dalla massa dei suoi simili, a mettersi da parte con la sua famiglia e i suoi amici». No, sempre per usare l’opposizione di Tocqueville, il detonatore dell’esplosione fu l’egoismo, l’«amore appassionato ed esagerato di sé, che porta l’uomo a riferire tutto a se stesso e a preferire sé a tutto il resto». Le interviste della Aleksievič rivelano chiaramente che la Russia di quegli anni vide l’avvento dell’individualismo come «fenomeno di dissoluzione, in cui la perdita di un orizzonte tradizionale si lascia appresso una condizione di pura e semplice anomia, e ognuno bada solo a se stesso».
Il recupero della tradizione
L’ anomia degli anni Novanta, il capitalismo selvaggio, egoistico e aggressivo lasciò il posto nella Russia degli anni Duemila ad un recupero dei valori tradizionali. Nel 2007 la Fondazione Sorokin pubblicò i risultati di un’inchiesta che analizzava valori e disvalori dei giovani russi. I valori, in ordine di preferenza, risultarono essere i seguenti: 1. Benessere materiale; 2. Valore dell’Io; 3. Autorealizzazione; 4. Famiglia; 5. Stabilità; 6. Libertà; 7. Rispetto per gli anziani; 8. Fede in Dio; 9. Patriottismo; 10. Dovere e onore. A cui corrispondevano questi disvalori: 1. Culto del denaro; 2. Individualismo e indifferenza; 3. Permissivismo; 4. Pragmatismo cinico. Carrierismo; 5. Crollo della famiglia; 6. Assistenzialismo sociale; 7. Sregolatezza sessuale; 8. Alcolismo, droga, turpiloquio; 9. Corruzione; 10. Хenofobia.
Com’è evidente, se il Benessere materiale risulta essere qui il primo valore, trova per così dire il suo antidoto nel primo disvalore, il Culto del denaro. La stessa cosa vale per Valore dell’Io e Individualismo e indifferenza, per Autorealizzazione e Carrierismo, per Patriottismo e Хenofobia e così via. In sintesi, una volta recuperati i valori della proprietà privata, della persona e della patria, la società russa sembra rigettare l’egoismo radicale degli anni Novanta, l’individualismo sfrenato e il nazionalismo deteriore. Ciò appare possibile grazie ad una ripresa dei valori tradizionali che la civiltà russa aveva conservato anche in epoca sovietica: una certa forma di solidarietà sociale, il primato dello spirituale e della bellezza sulla materia, il valore dell’uomo comune. Lo studio di come sia stata possibile questa conservazione non può trovare spazio in questa sede: basti però accennare a quel fenomeno straordinario che fu l’intelligencija russa, la quale, in piena Unione sovietica, mantenne e alimentò una scala di valori indipendente dal sistema sovietico.
Di fronte al “disagio della modernità”, la Russia sembra affrontare la strada aspra e disagevole di un futuro che recupera i propri valori tradizionali, che sono valori pienamente europei. Ma l’Occidente risentito che attacca ideologicamente la Russia e la accusa di non condividere il culto della libertà illimitata è ancora Europa?